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Il fattore umano

“Abbiamo fatto la storia, stanotte.
La storia inizia come farsa e finisce come tragedia.
La citazione è al contrario.
E chi l’ha detto?
Marx.
Groucho l’ha detto?”

Once upon a time in the east. Parafrasando la celeberrima canzone dei Dire Straits, ecco a voi Argo, un film “con le palle”. C’è tutto quello che si può richiedere a un film fatto bene: ottimi attori, una gran regia, una storia spettacolare, una sceneggiatura ed una fotografia da sballo. E, no, neppure Argo è la pellicola perfetta, perché si perde in inutili particolari o situazioni che lascia in sospeso. Cassandole il film sarebbe durato un po’ meno; diciamo quei 5/10 minuti che, probabilmente, avrebbero reso il finale un po’ più scorrevole ed agibile.

Alcuni pensano, sbagliando, che sia un’elegia degli States, del “noi siamo i migliori, noi siamo i più fighi”. Nulla di più sbagliato, il film di e con Ben Affleck da un duro colpo alla prosopopea a stelle e strisce. Dal colpo di stato del 1953 che rovesciò il legittimo governo di Mohammad Mossadeq per sostituirlo con quello, lordo di sangue innocente, di Mohammad Reza Pahlavi fino al contraltare della studentessa islamica che elenca, parlando alla radio, i crimini che l’America, il grande satana, e lo Scià hanno commesso nei confronti del suo popolo, rispetto alla confusione ed al caos che governano a Washington subito dopo l’occupazione dell’Ambasciata da parte dei rivoluzionari islamici. Da una parte ordine e calma, ispirati da Allah; dall’altra confusione di idee e modi per realizzarle: è dura essere quello che lo prende la dove non batte il sole se, fino al giorno prima, la tua era la parte opposta.

Film che più ambientato sembra girato a cavallo del settimo ed ottavo decennio dello scorso secolo: barbe lunghe, baffoni, occhialoni da sole, pantaloni a zampa d’elefante, auto dell’epoca, sigarette in pacchetti morbidi. Anche le tecniche di ripresa, i movimenti di camera (notate certi “tic”), le inquadrature appartengono a quel periodo. Ben Affleck, con il resto dello staff tecnico tra cui spicca Rodrigo Prieto, deve aver fatto un gran lavoro di ricerca cinematografica tanto da rendere la sinossi secondaria rispetto all’aspetto tecnico.

Il film si basa su una storia vera, e da questa Affleck orchestra, con mirabile abilità sia narrativa che tecnica, un crescendo rossiniano di paurose gaffe all’interno dell’amministrazione statunitense che portano, con una suspence ed una tensione che aumentano con il passare del tempo, ad un orgasmico finale liberatorio. Opera che si basa sul reale e che ha con poche e ben confinate licenze cinematografiche, Argo diventa con il passare del tempo (e della mancanza dello stesso per certi personaggi) un’opera vieppiù solida e convincente, uno dei migliori film statunitensi dell’anno (non che ci voglia molto, viste la massa di porcherie che ci propina Hollywood e, più in generale, l’industria cinematografica statunitense).

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