Till the end of the world
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Till the end of the world

Secondo me con la Terra avete toppato di brutto

finemondo Gran Bretagna, cittadina di Newton Heaven, anno domini 1990: Gary King cerca, con i suoi amici, di completare in una notte il leggendario miglio dorato: dodici pub, dal The First Post fino al The World’s End, in cui bere, scopare, raccontare aneddoti e barzellette. In pratica una notte di pura e semplice baracca (cit.: Kristian Ghedina). Ma una notte che, purtroppo, non si concluse come i nostri cinque baldi eroi speravano. Già, perché il loro sogno si infranse prima della fine.
Venti anni dopo Gary ci vuol riprovare e, novello “fratello Blue”, “raduna la banda” per un nuovo, disperato tentativo di raggiungere finalmente il World’s End.
Peccato che, nel frattempo. Newton Heaven sia cambiata, profondamente cambiata.
In una maniera che nessuno poteva minimamente immaginare.
Con questo film si conclude la cosiddetta “trilogia del cornetto” (L’alba dei morti dementi e Hot Fuzz i due capitoli precedenti), una delle migliori prove di commedia mai realizzate.
Sgarbato ed irriverente, il film è l’ennesima dimostrazione che se si vuol vedere del buon cinema ci si deve rivolgere, con alcune lodevoli eccezioni (Eastwood, Bigelow, Canada e poco altro) a quanto realizzato nel Vecchio continente.
Perché la starbuckizzazione del cinema statunitense è, purtroppo, cosa ovvia e scontata.
Ma quella dei pub?
No, dico: i pub che, negli interni, sono tutti uno uguale all’altro e che ti forniscono la stessa identica birra e ti servono le stesse identiche pietanze non dovrebbe farti venire un dannato, fottuto sospetto?
Oppure il conformismo e un egualitarismo che si sta spingendo troppo in la ci inducono a credere che tutto questo sia normale?
No, dai, non scherziamo: se c’era del marcio in Danimarca, allora a Newton Heaven la situazione è molto, molto peggiore.
Vero Gary King detto “Il re”?
Perché il duo Edgar Wright/Simon Pegg ha sfornato non tanto, non solo la terza (in una trilogia…) pellicola fuori dagli schematismi e non convenzionale; ma ci fanno pure riflettere su come l’appiattirsi a convenzioni, schemi sia sostanzialmente un’emerita cazzata.
E non solo in ambito cinematografico, ma anche nella vita di tutti i giorni.
Ma la società rifugge gli anticonformisti, scappa da chi non si appiattisce allo schematismo del pensiero unico: “eccoli, li pazzi”.
Ma per citare Pirandello (Enrico IV):

Conviene a tutti, capisci? Conviene a tutti far credere pazzi certuni, per avere la scusa di tenerli chiusi. Sai perché? Perché non si resiste a sentirli parlare. […] Non si può mica credere a quello che dicono i pazzi! Eppure, si stanno ad ascoltare così, con gli occhi sbarrati dallo spavento. Perché? […] Perché trovarsi davanti a un pazzo sapete che significa? Trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica, la logica di tutte le vostre costruzioni! Eh! Che volete? Costruiscono senza logica, beati loro, i pazzi! O con una loro logica che vola come una piuma! Volubili! Volubili! Oggi così e domani chi sa come! Voi vi tenete forte, ed essi non si tengono più. Voi dite “questo non può essere” e per loro può essere tutto. Ma voi dite che non è vero. E perché? Perché non par vero a te, a te, a te, e centomila altri. Eh cari miei! Bisognerebbe vedere poi che cosa invece par vero a questi centomila altri che non sono detti pazzi […]. Perché guai, guai se non vi tenete forte a ciò che vi par vero oggi, a ciò che vi parrà vero domani, anche se sia l’opposto di ciò che vi pareva vero jeri!

Così come il grande scrittore siciliano, la nostra coppia ci mostra come l’appiattimento del pensiero verso schematismi comuni genera mostri.
E che mostri!
Ma, attenzione, se è vero quanto narrato nella trilogia da Wright&Pegg, è altrettanto vero che anche nella vita reale il conformismo e l’appiattimento delle idee rende mostri chi si confà e, ai loro occhi, folli chi va in direzione opposta.
Pirandelliana, pertanto, ma anche Bergmaniana, l’opera del duo proietta il pensiero di questi due grandi in un mondo moderno, più abituato ai film d’azione e/o alle commedie.
Ed è mischiando loro con Lucas e con Spielberg che si crea una pellicola decisamente piacevole, moderna, ma che fa riflettere sulla vita.
Ma i nostri cinque eroi (i “cinque moschettieri”) si confrontano principalmente con se stessi: chi col l’eterna sindrome di Peter Pan (Gary), chi con l’odio atavico nei confronti della cittadina e chi, invece, con la semplice ombra di se stesso. Ma tutti, comunque, con il proprio passato ed il proprio futuro.
Un confronto che inizia quando i freni inibitori sono finalmente allentati dall’alcool.
Confronto catartico per alcuni, ma che capovolge gli schematismi del cinema leggero, imperniato nel solito, fottuto, dannatamente abusato e stancante “happy end”
Anche se, in tutta onestà, la parte più fragile e meno convincente del film è proprio il finale.

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