Smetto quando voglio
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Smetto quando voglio

Sono accusato di produzione e spaccio di stupefacenti, sequestro di persona e tentato omicidio. Mi chiamo Pietro Zilli e sono un ricercatore universitario

smettoquandovoglio Divertente e a tratti imbarazzante.
Questa potrebbe essere, in poche parole, il ritratto del film Smetto quando voglio di Sidney Sibilia, una buona commedia gangsteristica all’italiana (anzi: alla carbonara): intelligente, divertente, ben ideata e diretta ma malissimamente fotografata (“Abbiamo cercato di fare un lavoro sulle doppie dominanti, che quando avevo cominciato a svolgere il mio mestiere erano considerate un errore, mentre noi abbiamo tentato di farne un punto di forza. Questa è forse un po’ l’era di Instagram: siamo abituati a vedere delle immagini filtrate, non naturali, con dei mega-filtroni. Con Vladan Radovic alla fotografia ci siamo divertiti ad assumere i riferimenti più originali: un certo tipo di fotografia anglosassone particolarmente esasperata, e da lì siamo partiti“. Se erano considerate un errore qualche ragione c’era, no? Diciamo che avete mandato in vacca una piccola gemma, perché visivamente è penoso!!!).
Se per certi versi la pellicola di Sibiia fa un po’ il verso alle commedie demenziali anglosassoni più recenti (cfr: la “trilogia del cornetto“), per altri prosegue la gloriosa strada delle commedie all’italiana (cfr.: Johnny Stecchino o I soliti ignoti) o certi film (la sequenza aerea su Roma potrebbe benissimo esser ambientata a Los Angeles o a San Francisco) telefilm americani (immaginatevi un Breaking Bad in chiave leggera).
La storia è banalmente semplice: Pietro Zilli (un buon Edoardo Leo), valente e squattrinato ricercatore italiano, non ottiene il rifinanziamento alla sua ricerca o, e sarebbe l’apice, coronare il suo sogno: un contratto a tempo indeterminato. Eppure le premesse c’erano tutte, compresa la promessa del titolare della cattedra. Promessa da marinaio, tanto che il ministero taglia i fondi e l’unico finanziamento possibile va ad altri. Ma il nostro non si perde d’animo e, dopo aver nascosto la verità alla sua fidanzata (una Valeria Solarino sempre bella da vedersi ma un po’ troppo monocorde), raduna un gruppo di valenti ex ricercatori falliti che svolgono i lavori più umili (chi lavora da un benzinaio, chi fa il lavapiatti, chi il truffatore mantenuto, chi il precario a vita) per mettere su una banda di spacciatori di smart drug. Va tutto bene, finché…
Il finale è, ovviamente, il classico happy end, dove vissero (quasi) tutti felici e contenti.
Finalmente un film italiano che da birra alle migliori commedie francesi dell’ultimo periodo, il tutto con una sceneggiatura originale e senza dover scomodare attori “di nome” sull’orlo di una crisi di nervi, oppure cabarettisti divertenti ma impacciati davanti a una macchina da presa.
Non aspettatevi, per fortuna, il solito cinepanettomne o il solito “Manuale d’amore” o la versione cinematografica dell’ennesimo libro di Moccia.
No, perché Sydney Sibilia ha dimostrato che basta avere idee fresche per confezionare un film piacevole, con una buona colonna sonora, abbastanza ben interpretato e sceneggiato.
Una piccola gemma narrativa; purtroppo rovinata da scriteriate ed assolutamente idiote scelte visive da parte dell’esordiente Sibilia che del direttore della fotografia Vladan Radovic; che si eleva sopra la media dei (mediocri, salvo rare eccezioni) film italiani dell’ultimo periodo.

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