Le FAQ sul referendum costituzionale
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Le FAQ sul referendum costituzionale

Prima di iniziare vorrei che teneste a mente queste parole:

La Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Tali sono tanto i principi che la stessa Costituzione esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione costituzionale, quale la forma repubblicana (art. 139 Cost.), quanto i principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana.
Questa Corte, del resto, ha già riconosciuto in numerose decisioni come i principi supremi dell’ordinamento costituzionale abbiano una valenza superiore rispetto alle altre norme o leggi di rango costituzionale, sia quando ha ritenuto che anche le disposizioni del Concordato, le quali godono della particolare <copertura costituzionale> fornita dall’art. 7, comma secondo, Cost., non si sottraggono all’accertamento della loro conformitè ai <principi supremi dell’ordinamento costituzionale> (v. sentt. nn. 30 del 1971, 12 del 1972, 175 del 1973, 1 del 1977, 18 del 1982), sia quando ha affermato che la legge di esecuzione del Trattato della CEE può essere assoggettata al sindacato di questa Corte <in riferimento ai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e ai diritti inalienabili della persona umana> (v. sentt. nn. 183 del 1973, 170 del 1984).

(sentenza 1146/1988 Corte Costituzionale)

Ed ora iniziamo con le FAQ:

Perché i deputati dei partiti governativi hanno raccolto le firme per il Referendum confermativo?

Non è stato un atto di democrazia, come sostengono molti di loro: sono stati costretti a farlo dalla Costituzione stessa, la quale prevede che una revisione costituzionale, quando non è votata dalla maggioranza qualificata (due terzi) dei parlamentari, questa debba, se richiesto, esser sottoposta a referendum. E dato che questa “riforma”; per usare il termine tanto caro a Renzi ma non previsto dagli articoli 138 e 139 che parlano, propriamente, di revisione; è stata votata da poco più del 50% dei parlamentari, ne risulta che o chiedevano il referendum confermativo o non se ne faceva nulla.
Citando la Costituzione (art. 138, commi II e III):

Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare [cfr. art. 87 c.6] quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata [cfr. artt. 73 c.1, 87 c.5 ], se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.

Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.

Quelli che le fanno la convergenza delle gomme e manco la conoscono…

Finalmente si riscrive la seconda parte della Costituzione, che è dal 1947 che è immutata

Davvero è ferma al 1947? Ne siamo… siete proprio sicuri?
Orbene, prendiamo, per esempio, il Titolo V (rapporto Stato Regioni) della stessa.
L’ultima volta che il Titolo V è stato revisionato è nel 2001 con la Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione” (link) [la precedente modifica allo stesso titolo risale al 1999 con la Legge Costituzionale n°1 del 22 novembre (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni)]
Interessante quanto si legge sulla Treccani (ora su AetnaNet dato che Teccani Scuola è diventato un sito a se stante riservato a studenti e docenti) a proposito delle “revisioni costituzionali” nel nuovo millennio (articolo fermo alla cd “riforma Berlusconi/Calderoli”, poi bocciata dal popolo italiano):

Diverse sono invece le tendenze del “revisionismo costituzionale” che si sono venute consolidando in questi ultimi anni in Italia, dove a partire dal 2000 – fatte salve due puntuali revisioni costituzionali (quella relativa alla XIII disposizione transitoria che ha posto fine al “divieto di ingresso” in Italia per i membri e i discendenti di Casa Savoia – L. Cost. 23 ottobre 2002, n. 1; e quella che ha introdotto in Costituzione il concetto di “pari opportunità tra donne e uomini” – L. Cost. 30 maggio 2003, n. 1) – si è proceduto alla stesura di veri e propri progetti organici di riforma della Costituzione. Il primo sfociato nella L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3 che ha modificato le disposizioni del Titolo V della Costituzione (concernente l’organizzazione costituzionale delle Regioni, Province e Comuni). Il secondo (pubblicato sulla G.U. 18 novembre 2005, n. 269) proteso a investire tutta la seconda parte della Costituzione e la cui entrata in vigore o meno dipenderà soltanto dall’esito del referendum costituzionale che si svolgerà il prossimo 25 giugno.
Tre sono le ‘peculiarità’ che differenziano significativamente queste iniziative di revisione costituzionale rispetto alle precedenti:
a) l’oggetto della riforma costituzionale non è più costituito da singole e circoscritte disposizioni normative, ma tende esponenzialmente a coinvolgere, in un caso, un intero titolo della Costituzione (L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3) e, nell’altro, tutta la sua seconda parte (più di quaranta articoli).
b) il progetto di riforma è stato in entrambi i casi approvato in Parlamento non sulla base di una larga intesa tra maggioranza e opposizione (come sarebbe sempre opportuno quando si va a incidere sulla “legge suprema” dell’ordinamento), ma dalle sole forze di governo.
c) in entrambi i casi l’approvazione del progetto di revisione a maggioranza assoluta e dopo accesi contrasti tra gli opposti schieramenti politici ha comportato l’inedita richiesta (ciò infatti non era mai accaduto in precedenza) di un referendum costituzionale.
Il primo referendum si è svolto nell’ottobre del 2001 e, avendo avuto esito confermativo, ha suggellato l’immediata entrata in vigore della legge di revisione del titolo V della Costituzione, così come precedentemente approvata in Parlamento.
Il secondo referendum sulle “Modifiche alla parte II della Costituzione” si svolgerà, invece, il prossimo 25 giugno. In quell’occasione gran parte dei cittadini si troveranno di fronte a un vero e proprio dilemma essendo chiamati a misurarsi, con un unico voto, su un articolato e particolarmente complesso progetto di modifica della seconda parte della Costituzione (dalla concentrazione dei poteri di indirizzo politico nelle mani del primo ministro alla c.d. devolution). La formulazione del quesito referendario non consente, infatti, alcun distinguo e ammette per sua natura una sola scelta: prendere tutto o lasciare tutto.

Quanto scritto alla fine (In quell’occasione gran parte dei cittadini si troveranno di fronte a un vero e proprio dilemma essendo chiamati a misurarsi, con un unico voto, su un articolato e particolarmente complesso progetto di modifica della seconda parte della Costituzione (dalla concentrazione dei poteri di indirizzo politico nelle mani del primo ministro alla c.d. devolution). La formulazione del quesito referendario non consente, infatti, alcun distinguo e ammette per sua natura una sola scelta: prendere tutto o lasciare tutto) varrà anche per la “riforma” Renzi/Boschi.
Chi chiede il cd “spacchettamento” è un ignorante, non essendo previsto dalla Costituzione (art 138).

La Boschi-Renzi diminuisce i costi della Politica

Stando a uno studio della Ragioneria Generale dello Stato si parla di un risparmio di circa una cinquantina di milioni l’anno, di cui 40 MLN circa derivati dalla cancellazione delle indennità per i nuovi senatori, ed altri da altri risparmi (che devono ancora essere normati, come l’unificazione del personale tra le due camere).
Ovviamente non si sa quanto ci costeranno, in rimborsi spesa, i nuovi senatori, e come sarà il regolamento del nuovo senato non elettivo: tutte variabili che, a livello teorico, potrebbero annullare i miseri risparmi previsti dalla riforma.
Di sicuro diminuirà la democrazia, dato che non saremo più noi a scegliere i senatori.

I senatori eletti dai consigli regionali nel proprio ambito, insieme a un sindaco per ogni regione, rappresentano le istituzioni di autonomia. È la Camera delle Regioni, da tempo richiesta.

Veramente io non l’ho mai chiesta, voi?
Vorrei sapere chi è che chiede da tempo questa cd “Camera delle Regioni”.
Forse Letta, Napolitano, e pochi altri boiardi del Partito Democratico.
Di certo non ho mai sentito casalinghe al supermercato affermare “Ah, se solo ci fosse la Camera delle Regioni”, o pazienti dal dottore, o persone in fila all’anagrafe.
A parte il fatto che si elegge un sindaco affinché faccia il sindaco, un consigliere regionale affinché faccia il consigliere regionale.
Altrimenti il nuovo senato diventa solo un dopolavoro ferroviario.
Citando Villone:
Falso. Un consigliere regionale è espressione di un territorio limitato e infraregionale, cui rimane legato per la sua carriera politica. Lo stesso vale per il sindaco-senatore. Avendo pochi senatori, ogni regione sarà rappresentata a macchia di leopardo. Pochi territori avranno voce nel senato, e tutti gli altri non l’avranno. È la camera dei localismi, non delle regioni.
Aggiungo che i due Bundesrat da cui Renzi e Boschi dicono di essersi ispirati, quello tedesco e quello austriaco, prevedono che il senatore, persona scelta esternamente dal parlamento del Land, sia vincolato dal mandato ricevuto dal Land di appartenenza. Esattamente quello che non accadrà in Italia, dove potrà agire di testa sua, magari andando contro gli interessi della regione che rappresenta, perché da noi il Vincolo di Mandato è precluso dalla Costituzione (art 67).

Sarebbe stato meglio con l’elezione diretta?

Ovvio che si, magari facendo in modo che tutte le regioni avessero lo stesso numero di rappresentanti eletti alla camera alta, in maniera da assicurare la stessa rappresentanza a tutti: 5 senatori per regione, 5 in rappresentanza dei collegi esteri, totale 105 membri. Ovviamente i senatori a vita/presidenziali non coprirebbe più questa carica che verrebbe abolita, così come i benefici/privilegi di cui essi godono.

Però i nuovi senatori saranno scelti dai cittadini

Questa è una delle più belle palle sesquipedali che hanno detto su questa riforma.
L’unico modo per cui, tu cittadino, scegli un tuo rappresentante è la sua elezione diretta.
Non vi è altro modo affinché tu, elettore/cittadino, scelga i senatori.
E’ stato inserito un principio, non ancora normato, che è quello che debba essere assicurata la conformità agli indirizzi espressi dagli elettori nel voto per il consiglio.
Io vorrei sapere se qui in Liguria, se si rivotasse oggi, la giunta Toti vincerebbe di nuovo le elezioni: io dico, dopo i disastri e i menefreghismi di cui si è macchiata, che prenderebbe ben pochi voti.
A parte il fatto, come dice Villone, che è tecnicamente impossibile.
A dieci regioni e province (Valle D’Aosta, Bolzano, Trento, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Umbria, Marche, Abruzzo, Molise, Basilicata) spettano due seggi, e a due (Calabria, Sardegna) ne spettano tre. Uno dei seggi è riservato a un sindaco. Come si può rispettare la volontà degli elettori quando il consiglio elegge un solo consigliere-senatore, o due?

Giusto per, il “nuovo senato” entrerebbe in vigore dopo che tutte le regioni saranno andate al voto per la fine naturale del mandato.
In pratica non prima del 2020.
Inoltre dovranno essere cambiati gli statuti regionali delle 5 regioni a Statuto Speciale, dato che prevedono l’incompatibilità tra la funzione di consigliere regionale e quello di senatore e/o parlamentare.
Se non vengono cambiati rischiamo di trovarci con 5 regioni non rappresentate nel “Senato delle Regioni”.
Anche se sono già pronte, in caso di vittoria del SI, 5 leggi di riforma costituzionale (una per regione a Statuto Speciale).
Per alcuni sarebbe il cavallo di Troia con cui il governo centrale toglie la tipicità delle 5 regioni rendendole, di fatto, a statuto ordinario.
(fonte: BUTAC)
Io sono favorevole all’abolizione delle Regioni a Statuto Speciale

Ma il senato non elettivo era necessario per superare infine il bicameralismo perfetto, fonte di continui e gravi ritardi

Altra bugia sesquipedale.
Faccio rispondere a Villone:
Falso. Si poteva giungere a un identico bicameralismo differenziato lasciando la natura elettiva del Senato. In ogni caso, le statistiche parlamentari – disponibili online sul sito del Senato – ci dicono che nella legislatura 2008-2013 le leggi di iniziativa del governo, che assorbono in massima parte la produzione legislativa, sono arrivate alla approvazione definitiva mediamente in 116 giorni. Addirittura, per le leggi di conversione dei decreti legge sono bastati 38 giorni, che scendono a 26 per la conversione dei decreti collegati alla manovra finanziaria. Numeri, non chiacchiere.
Giusto per, il vero ostacolo allo snellimento legislativo sono i cd “decreti attuativi”, di cui ho già parlato qui

Il bicameralismo differenziato semplifica comunque i processi decisionali e assicura maggiore rapidità

Purtroppo l’Italia non è passata da un sistema bicamerale perfetto (che esiste anche in Svizzera e funziona egregiamente) a uno imperfetto, dove le due camere si occupano di materie diverse tra loro.
No, noi siamo passati al bicameralismo alla puttanesca, di cui ho già scritto qui.
Citando Villone:
Solo in apparenza. Negli art. 70 e 72 vigenti il procedimento legislativo è disciplinato con 198 parole. La legge Renzi-Boschi sostituisce i due articoli con 870 parole. Può mai essere una semplificazione? In realtà si moltiplicano i procedimenti legislativi diversificandoli in rapporto all’oggetto della legislazione. Ne vengono incertezze e potenziali conflitti tra le due camere, che potrebbero arrivare fino alla Corte costituzionale.
Inoltre l’attuale sistema bicamerale, che si dice non assicuri governabilità, è scaturito da una legge Elettorale, la cd “Porcellum”, su cui la Corte Costituzionale, nella sentenza di incostituzionalità della legge Calderoli, ha così sentenziato (sulla parte sul Senato):
Esse, inoltre, recherebbero un meccanismo intrinsecamente irrazionale, che di fatto finirebbe con contraddire lo scopo di assicurare la governabilità, in quanto, essendo il premio diverso per ogni Regione, il risultato sarebbe una sommatoria casuale dei premi regionali, che potrebbero finire per elidersi tra loro e addirittura rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti, pur in presenza di una distribuzione del voto sostanzialmente omogenea tra i due rami del Parlamento, e compromettendo sia il funzionamento della forma di governo parlamentare, nella quale il Governo deve avere la fiducia delle due Camere (art. 94, primo comma, Cost.), sia l’esercizio della funzione legislativa, che l’art. 70 Cost. attribuisce alla Camera ed al Senato.

La fiducia viene data dalla sola Camera dei deputati, e questo contribuisce alla stabilità

A parte il fatto che, personalmente, penso che governabilità sia sinonimo di democratura (Erdogan, Putin) o di dittatura, non credo che il fatto che una sola camera a dare la fiducia assicuri stabilità.
Soprattutto se questo è fatto da un governo nato da un “golpe bianco” nei confronti del governo legittimo di Enrico Letta.
Se ad ogni cambio di segretario di partito, uggia di Grillo, belino inverso di Berlusconi (o chi per lui) cambia il capo del governo ci ritroviamo proiettati in piena prima repubblica, quando ad ogni congresso della Democrazia Cristiana cambiava o il capo del governo o, se andava bene, avveniva un “rimpasto ministeriale”, a seconda di come erano cambiati i rapporti di forza delle varie correnti della balena bianca.
Nella storia repubblicana solo due governi hanno avuto il diniego fiduciario dei due rami del Parlamento: i due governi Prodi, le due armate Brancaleone del centrosinistra, quelle coalizioni all’ammasso che Renzi vorrebbe resuscitare per tacitare i centristi governativi (dopotutto Alfano chi lo voterebbe mai?), l’opposizione di centrodestra, e l’opposizione “interna” della sinistra PD. Ovviamente il tutto in chiave anti M5S.

Il rapporto di fiducia verso la sola camera dei deputati rafforza la governabilità

E da quando la famosa governabilità dipende esclusivamente dal numero delle camere o dalla tipologia di “cameralismo” (monocameralismo, bicameralismo imperfetto o perfetto) dello Stato?
La mitica e mitologica governabilità la di ottiene da una coesione delle forze che sostengono il governo, e meno esse sono (in pratica se il governo è espressione di un solo partito) meglio è.
Vogliamo ritornare alle armate Brancaleone che sostenevano Prodi? O alle liti furiose tra i leader dei partiti che sostenevano Berlusconi? Facciamolo, ma poi addio governabilità.

L’Italicum è meglio del porcellum

Si, e Cicciolina è ancora vergine.
In primis il Porcellum, con tutti i suoi difetti e il vulnus anticostituzionale di cui era pregno, assicurava maggior democrazia parlamentare rispetto all’Italicum.
Inoltre, e qui lascio rispondere a Villone:
L’Italicum riproduce i vizi del Porcellum già dichiarati costituzionalmente illegittimi: eccesso di disproporzionalità tra i voti e i seggi attribuiti con il premio di maggioranza, per di più dato a un singolo partito; lesione della libertà di voto dell’elettore per il voto bloccato sui capilista, che possono anche essere candidati in più collegi.
dueterzi

Si, ma il ballottaggio, il 40%, la Trinità, l’estrema unzione…

Villone again:
Al ballottaggio e al premio si accede senza alcuna soglia. Se nel ballottaggio a due un partito prendesse due voti, e l’altro uno, il primo avrebbe comunque 340 seggi. Come con il Porcellum, è possibile che un singolo partito con pochi consensi reali nel paese abbia in parlamento una maggioranza blindata di 340 seggi, mentre tutti gli altri soggetti politici, che pure assommano nel totale maggiori consensi, si dividono i seggi rimanenti. Con la conseguenza che il voto dato alla lista vincente pesa sull’esito elettorale fino a quattro volte il voto dato alle altre liste. Un grave elemento di diseguaglianza tra gli elettori.

Il referendum di autunno/inverno sarà anche sull’Italicum

Falso, dato che la nuova legge elettorale è comunque già operativa dal luglio del corrente anno.
Però è vero che per rendere funzionali alcuni aspetti, come il bicameralismo alla puttanesca, della stessa serve la vittoria del SI.
Dato, comunque, il valore marginale degli aspetti riguardanti l’Italicum (2 articoli) sul complesso della riscrittura renzianboschiana della seconda parte della Costituzione, queste FAQ non si occupano dell’Italicum, di cui ho già parlato altrove.

I sistemi di bilanciamento dei poteri vengono rafforzati dalla riforma

E’ vero, casomai, il contrario, dato che se un unico partito (o, forse, una coalizione di… dipende se l’Italicum va bene così com’è o meno. Ai centristi, alla sinistra dem, a Silviuccio caro, mica ai Supremi) vince le elezioni fa quello che gli pare.
E senza che i cittadini/elettori o gli organi periferici possano fare alcunché per contrastarlo.
A meno di fare una rivoluzione o partire sulle montagne come partigiani.
In primis, con liste bloccate, premio di maggioranza assurdo, e nessuna preferenza il capo del governo avrà un potere quasi illimitato sul parlamento.
Parlamento che, essendo in mano a una maggioranza assoluta, può decidere i membri laici del CSM, quelli di spettanza parlamentare della Corte Costituzionale, e il Presidente della Repubblica (per la cui nomina servono, dalla settima votazione, i voti dei 3/5 dei votanti) con i soli voti della maggioranza.

Gli istituti di democrazia popolare e diretta ne escono rafforzati

In primis le firme per le leggi di iniziativa popolare passano da 50mila a 150mila, a fronte si di un obbligo di discussione in aula, aula che comunque può o bocciarle o modificarle in maniera tale da alterarne persino il senso.
In altre nazioni una legge di iniziativa popolare verrebbe sottoposta a vaglio referendario senza quorum, in alcuni casi per la sua approvazione, e in altri se modificata o cassata nel suo cammino parlamentare.
E’ vero che si “abbassa” il quorum per i referendum abrogativi, ma solo per quelli che raggiungono le 800mila firme, mentre quelli che raggiungono la cifra canonica di 500mila firme dovranno superare il quorum del 50%+1 degli aventi diritto al voto.
Vorrei ricordare fino alla noia che il Consiglio d’Europa ha chiesto agli stati membri di fissare un quorum referendario compreso tra lo 0 (raccomandato) e il 20%
Inoltre i referendum di indirizzo e propositivi sono rimandati a una nuova legge costituzionale, che potrebbero non arrivare mai.
Perché non li hanno implementati subito?

Titolo V

E’ assolutamente vero che l’attuale Titolo V, frutto delle modifiche occorse nel tempo, in ultimo quella del 2001, è un discreto pastrocchio, dovuto alla volontà sia di fare (male, purtroppo) dell’Italia uno stato federale, che di decentramento dei poteri.
Il fatto è che si passerà da uno stato federal-decentrato a uno ipercentralista, e con una legge elettorale che prevede una tipologia di senato che è in vigore o un nazioni federali (Germania, Austria), o in quelle decentrate (Francia).
No, noi copiamo una tipologia di senato di stati non centralisti per adattarla a uno ipercentralista?
Che vino marcio bevono alle feste dell’Unità?
Inoltre il rapporto tra Stato e Regioni non viene semplificato.
Citando Villone:
Ma non mancano contraddizioni e ambiguità, che possono tradursi in nuovo contenzioso. La soppressione della potestà concorrente in chiave di semplificazione del rapporto Stato-Regioni è ad esempio pubblicità ingannevole, perché si crea una nuova categoria di “disposizioni generali e comuni” che è difficile distinguere dalle leggi cornice della attuale potestà concorrente. E c’è anche un richiamo a “disposizioni di principio”.

Adesso le Regioni non potranno più legiferare su materie che dovrebbero essere di pura importanza nazionale, come l’Energia

E’ la Costituzione che riconosce spazi di autonomia regionale, mentre la riforma che dovrebbe essere approvata va verso la negazione di questi spazi.

Le Provincie e il CNEL

Per le provincie si è solo Costituzionalizzato un dato di fatto, non esistendo praticamente già più.
Personalmente sono favorevole alle provincie, se create sul modello francese.
Per il CNEL: sarebbe bastata una legge Costituzionale ad hoc, e sarebbe stata votata dal 150% dei parlamentari, dato che il CNEL non esercita più funzioni essenziali sia politicamente che costituzionalmente.
E, comunque, il CNEL (che ha avuto nella sua storia un costo irrisorio, tra i 2 e gli 8 MLD complessivi), ha una sua funzione internazionale, dato che rappresenta l’Italia in due consessi internazionali: il CESE e l’AICESIS.
Il primo è il “CNEL” europeo, ma basterebbe che il governo nominasse i 24 membri italiani senza dare la delega al CNEL. Il secondo è un’istituzione delle Nazioni Unite, nella quale si riuniscono i membri dei vari “CNEL” internazionali.
In Europa le uniche Nazioni senza un rappresentante in questa istituzione internazionale sono Turchia, Regno Unito, Norvegia, Svezia, Islanda e Fær Øer.
Altre hanno più enti nazionali a rappresentarle (2 per la Francia e i Paesi Bassi, 3 per il Belgio)

La riforma elettorale e la legge elettorale Italicum non andavano fatte perché questo è un parlamento illegittimo

Come direbbe l’immortal Guglielmo Shakespeare da Baskerville “per piacere non diciamo cazzate”
Punto 7 della sentenza 1/2014 – Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale – della Corte costituzionale sulla legge elettorale detta Porcellum:

È evidente, infine, che la decisione che si assume, di annullamento delle norme censurate, avendo modificato in parte qua la normativa che disciplina le elezioni per la Camera e per il Senato, produrrà i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova consultazione elettorale, consultazione che si dovrà effettuare o secondo le regole contenute nella normativa che resta in vigore a seguito della presente decisione, ovvero secondo la nuova normativa elettorale eventualmente adottata dalle Camere.

Essa, pertanto, non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto. Vale appena ricordare che il principio secondo il quale gli effetti delle sentenze di accoglimento di questa Corte, alla stregua dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30 della legge n. 87 del 1953, risalgono fino al momento di entrata in vigore della norma annullata, principio «che suole essere enunciato con il ricorso alla formula della c.d. “retroattività” di dette sentenze, vale però soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida» (sentenza n. 139 del 1984).

Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti.

Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali.

Rileva nella specie il principio fondamentale della continuità dello Stato, che non è un’astrazione e dunque si realizza in concreto attraverso la continuità in particolare dei suoi organi costituzionali: di tutti gli organi costituzionali, a cominciare dal Parlamento. È pertanto fuori di ogni ragionevole dubbio – è appena il caso di ribadirlo – che nessuna incidenza è in grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali: le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare. Tanto ciò è vero che, proprio al fine di assicurare la continuità dello Stato, è la stessa Costituzione a prevedere, ad esempio, a seguito delle elezioni, la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti «finchè non siano riunite le nuove Camere» (art. 61 Cost.), come anche a prescrivere che le Camere, «anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni» per la conversione in legge di decreti-legge adottati dal Governo (art. 77, secondo comma, Cost.).

Pertanto, mentre l’attuale parlamento potrebbe essere definito moralmente illegittimo e figlio di un vulnus costituzionale, esso ha tutta la legittimità per scrivere ed approvare leggi, senza nessun limite.
Si, compresa la riforma costituzionale.

Finalmente abbiamo fatto…

Frase che sento per giustificare ogni cosa: dall’ecomostro alla BREBEMI (Brescia Bergamo Milano), dalla TAV Torino Lione (e su quanto sia inutile e in perdita ormai si sa già tutto) alle (per fortuna cassate) Olimpiadi di Roma.
Come qui dove abito io: c’è un noto arcimegamultimilardario che vorrebbe letteralmente devastare uno degli approdi naturali (non che non abbia bisogno di lavori, anzi, epperò…) più belli d’Italia (a parte l’allungamento a ciglia chiusa, che lo sanno persino i bambini delle elementari che andava fatto a ciglia aperta per permettere il ricambio delle acque in maniera naturale) con una mostruosità chiusa, colate di cemento, un retroporto che invece di essere della città e degli ospiti diverrebbe quasi totalmente privato.
Alle (non solo) mie rimostranze sul progetto mi viene ribattuto “bisogna fare qualcosa”, al che rilancio con “anche una bella esplosione termonucleare sarebbe “fare qualcosa””, oppure “che ne dite se cementassimo il mare e costruissimo un’autostrada diretta per il Principato di Monaco?” o altre boutade assurde.
porto
Perché non è importante limitarsi a fare, perché anche far cazzate è fare; ma è la qualità stessa del fare, ovvero il percorso che si realizza per ottenere un determinato risultato, che è veramente importante.
E i magri e penosi risultati della Renzi-Boschi sarebbero stati migliori se avessero veramente ridotto il numero dei parlamentari (della metà per M5S e forze della sinistra; ad 1/3 degli attuali per me), se fossero passati o al monocameralismo (destre assortite) o al bicameralismo imperfetto (tanti) mantenendo l’eleggibilità dei senatori da parte dei cittadini; se avessero messo mano al Titolo V della Costituzione per fare dell’Italia un paese realmente federale (magari cassando la parte che da potestà ad ogni regione, quelle speciali incluse, di decidere l’emolumento degli eletti, degli assessori e del presidente nei consigli regionali) sulla falsariga o della Svizzera o di Germania/Austria; cassazione della legislazione concorrente Stato-Regioni, definendo quali competenze affidare ad uno e quali alle altre (eliminazione del passaggio introdotto dalla legge costituzionale 3/2001 e della legge cd “La Loggia” (131/2003)
Se… ma non sarebbe quella boiata del DDL Boschi, i suppose.

Che significa “Villone”? Chi è?

Massimo Villone è uno dei maggiori docenti di diritto costituzionale che vi siano in Italia.
Ha scritto anche lui, insieme a Domenico Gallo ed Alfiero Grandi, trenta domande e trenta risposte sia sull’Italicum e sia sulla pastrocchiata riforma costituzionale.
Eccole:

30 ragioni per dire NO alle riforme costituzionali by AdolfoSehnert on Scribd

Altre “FAQ”:

Un’ultima avvertenza: non votate in base a simpatie, antipatie, o per motivi politici.
Ma votate solo e se avete letto, compreso ed assimilato la riforma costituzionale, e le ragioni di ambo gli schieramenti: quello del SI e quello NO.
E non fatevi ingannare da facili promesse o stupidi slogan

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