Il governo dei pochi
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Il governo dei pochi

Uno dei più grossi pericoli insiti nella democrazia rappresentativa è quello di creare un’oligarchia autoreferenziale e/o rappresentante di interessi particolari e non dell’intera collettività.
Me ne sono accorto andando, meglio tardi che mai, ad una riunione del consiglio comunale locale.
Già l’idea che pochi debbano decidere del destino di molti mi da l’idea di un sistema estremamente imperfetto.
L’imperfezione è ancor meglio rappresentata dalla nulla (o rara) presenza di cittadini, fatto salvo un paio di delegazioni di interessi precisi ed ex consiglieri comunali (cosiddetti trombati) che, comunque, cercano visibilità in vista delle prossime amministrative di maggio.
Inoltre l’idea che una giunta in scadenza – anche se non si ripresenterà alle prossime elezioni – possa decidere sul futuro di un piccolo paese come di una grande metropoli o di un intero paese è quanto di più aberrante possa esserci.
Trovo che, a meno di gravi eventi e calamità, un qualsiasi organo eletto debba, a sei mesi dalla fine del mandato, legiferare solo sull’ordinaria amministrazione e basta: pagamenti dei fornitori, dei dipendenti e poco altro.
Non puoi, perché così facendo alteri il voto della consultazione, a tre mesi prendere decisioni importanti che potranno avere un effetto domino alle prossime elezioni.
Significa manipolarne il risultato, significa giocare sporco, significa far campagna elettorale anticipata.
Per uscire da questa oligarchia d’eletti servono alcuni ingredienti:
1) maggior coinvolgimento popolare;
2) maggior partecipazione popolare.
Sembrano la stessa cosa ma non lo è, anche se una porta all’altra, se una è conseguente all’altra.
Il popolo lo coinvolgi dandogli ampio potere di scelta.
Una legge elettorale con scelte multiple (panachage); positive e negative; potrebbe essere un buon inizio.
Ma da sola non basta:
referendum senza quorum consultivi e propositivi oltre che abrogativi;
leggi d’iniziativa popolare da discutere obbligatoriamente al Parlamento entro N (3? 6?) mesi dal loro deposito;
recall (sfiducia) dell’eletto da parte degli elettori;
scelta del proprio candidato sulla lista elettorale;
(per chi avesse voglia di approfondire consiglio di leggersi il glossario presente sul sito della Cancelleria Federale della Confederazione Svizzera)
E nel momento stesso che tu dai ai tuoi cittadini, a qualsiasi livello – nazionale e locale – simili strumenti ti accorgerai di come la partecipazione della popolazione alla vita politica ed amministrativa cambi radicalmente, anche se lentamente: da spettatori ad attori.
Inoltre, dovendo diventare “amministratori di se stessi”, si informano maggiormente, tendono ad iniziare a non fidarsi più dei soliti canali per andare a cercare le notizie anche dove meno te lo aspetti: dai siti di controinformazione fino a sorbirsi tomi tecnici e/o legali e/o ore ed ore di lezioni su come si amministra e/o governa.
Perché, vedete, il buon cittadino crede in primis in se stesso, nelle proprie capacità, nella propria volontà di cambiare e migliorare il luogo dove vive.
E, poi, molto poi, casomai e forse a tutti gli altri e a tutto il resto.
Purtroppo in Italia, a meno di epocali sconvolgimenti politici, gli strumenti di democrazia diretta a livello nazionale non saranno mai applicati.
Perché, se lo facessero, molti di lorsignori e lorsignore finirebbero #tuttiacasa.
Però è possibile far si che entrino negli statuti comunali.
E poco, è vero, ma è come un virus: un comune qui oggi, un altro la domani, finché questa benefica malattia non contagerà tutta l’Italia.
Solo allora anche lorsignori e lorsignore si accorgeranno di noi.

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