Nella pancia della balena
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Nella pancia della balena

Durante la campagna dell’ultimo referendum sul nucleare (e legittimo impedimento e acqua pubblica), i sondaggi (che sono credibili quanto Cicciolina che esclama “sono illibata”) ed il comune sentire della gente – facilmente intortabile da pseudo esperti che apparivano sempre in televisione a elencare le magnificenze e la sicurezza delle centrali nucleari di nuova e nuovissima generazione – erano per il si al nucleare.
Credevano, a torto o a torto, che così ci saremmo resi indipendenti dalle importazioni energetiche (non sapevano che, nel frattempo, Silvio B aveva svenduto l’Italia all’amico Putin), che avremmo risparmiato (guardate quanto costano uranio e plutonio), che “solare. eolico e marino non servono a nulla”.
Poi arrivò la tremenda disgrazia di Fukushima, e tutti sappiamo quale fu l’esito referendario: affluenza italiana (poco meno del 55%) ma percentuali nordcoreane (intorno al 95%) per ribadire il no dell’Italia all’energia nucleare.
Senza Fukushima, senza i morti, senza l’incidente alla centrale giapponese il risultato sarebbe stato uguale?
Forse si, forse no, non abbiamo e mai avremo la prova contraria.
Ma il sentir comune mutò improvvisamente: gli “pseudo esperti” sparirono dai programmi televisivi, la (finta) sicurezza delle centrali di nuova e nuovissima generazione fu spazzata via dallo tsunami che diede il colpo di grazia al reattore n° 1, le vaghe certezze degli italiani vennero spazzate come castelli di carta dal disastroso terremoto dell’anno 2011.
Forse avrebbe vinto il si, forse il no.
Ora trasportiamoci in un’era indefinita ed indefinibile della storia nazionale, in cui leggi di iniziativa popolare e referendum senza quorum su qualsivoglia argomento sono parte integrante dell’esistenza quotidiana.
E immaginatevi che un’organizzazione, un movimento, un partito o quello che più vi aggrada riesca a raccogliere le firme per chiedere l’introduzione della pena di morte nell’ordinamento giuridico italiano.
Tavole rotonde, convegni, illustri ed eminenti dotti, medici dell’anima e sapienti esperti di diritto levano in coro il loro forte e convinto NO a quest’atrocità, a questa barbarie.
Il sentire comune, i sondaggi, chiunque dichiarava il proprio sdegno e la propria contrarietà alla proposta.
Finché…
Verso la fine della campagna referendaria avviene un (o una serie di) efferato delitto; magari a sfondo sessuale o, peggio, pedopornografico; magari con un colpevole “altro” (un povero, un omosessuale, uno straniero).
Secondo voi, ora, come va a finire l’esito referendario?
Perché, di fronte e contrapposta a una minoranza di concittadini raziocinanti, la maggior parte dei cittadini usa la pancia, si fa prendere dal lato emozionale della vicenda.
In casi come questi dovrebbe inserirsi l’arte della buona politica, che diventa mediazione tra la pancia dei cittadini e ciò che è giusto per l’interesse di tutti.
Purtroppo l’arte del far politica, o della cosiddetta “supremazia della politica”, è stata spazzata via da una classe che ha perseguito solo e soltanto gli interessi propri e quelli degli amici, fregandosene bellamente di ciò che è giusto e sbagliato, sia moralmente che nell’ottica del diritto.
Una classe politica egoista non ha più il potere e la capacità di mediare tra ciò che è moralmente giusto e ciò che è barbarie.
Nel momento stesso in cui si nomina ministro Giuliano Poletti, presidente dell’Alleanza delle cooperative, si da adito alla pancia e all’irrazionalità di poter dire e fare quello che vuole.
Quando si nominano cinque indagati in qualità di sottosegretari si cancella il primato della buona politica a favore della barbarie e della parte peggiore e più violenta della società.
Ma, ora, facciamo un passo nell’Italia di oggi.
Quella della democrazia rappresentativa, partecipativa (che presume che democrazia partecipativa e democrazia diretta siano sinonimi si sbaglia di grosso).
Quella di: una persona, un voto.
O, per dirla alla Beppe Grillo: “uno vale uno”.
Secondo voi è giusto che una persona intelligente, che ha studiato, che s’informa, che pensa prima di decidere, che non è facilmente influenzabile (ergo non io :p) abbia lo stesso peso di uno stupidotto, sempliciotto, che non ragiona, facilmente influenzabile perché fa pensare altri al posto suo?
A mio avviso no. A mio parere questo è uno dei mali intrinsechi di tutte le democrazie: oclocrazia da una parte, aristocrazia (non oligarchia) dall’altra.
E’ possibile fare in modo di trovare un giusto compromesso tra queste due visioni?
Ed è possibile trovare un modo per il quale democrazia diretta si, ma non per tutto?
Che, comunque, devono esistere principi inderogabili che non possono essere sottoposti a referendum? Ma chi decide quali sono questi principi? Perché se per me lo è la vita, per altri potrebbe essere intoccabile il MES o l’Euro. Che, invece, io trovo derogabilissimi.
Chi decide?
Citando Giovenale:

Quis custodiet ipsos custodes?

O, forse, questo è un problema non risolvibile, al pari di tanti altri quesiti di cui è irta la storia delle scienze che riguardano l’uomo?
O, forse, la soluzione ce l’avevano già fornita ai tempi Platone ed Aristotele?
Perché, per quanto l’aristocrazia sia una metodologia affascinante, chi decide, e come, chi sono i migliori?
Un cane che si morde la coda ha più possibilità che l’uomo di trovar risposta a questi quesiti.
Ma, in un angolo del mio cuore, mi auguro di no.
Perché, probabilmente:

Così la democrazia muore: per abuso di se stessa.
E prima che nel sangue, nel ridicolo.

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